Guerra in Ucraina l’aiuto viene da Manzoni

Nel quinto capitolo dei Promessi Sposi Manzoni racconta la visita di padre Cristoforo a don Rodrigo per perorare la causa di Lucia. Prima del drammatico faccia a faccia con lui, il frate viene coinvolto nella disputa in corso tra i nobili commensali che stanno argomentando se sia lecito o no bastonare il portatore di una ambasciata. In questo talk show ante litteram, nonostante la sua reticenza, è costretto a dare il suo parere anche il buon frate, in questo modo: “ il mio debole parere sarebbe che non vi fossero né sfide, né portatori, né bastonate.” Risposta accolta da quei nobili in modo beffardo, concedendo al massimo che “la sua sentenza, buona, ottima e di giusto peso sul pulpito, non val niente, sia detto col dovuto rispetto, in una disputa cavalleresca.”

In realtà un giudizio che vale solo dal pulpito non affronta la realtà nelle sue diverse sfaccettature così questo spunto manzoniano serve, di fronte all’invasione russa nel Donbass e alle conseguenze che ne derivano, per non cadere nella logica semplificatrice del bianco e nero, dei buoni e cattivi. Padre Cristoforo ci insegna che c’è anche un’altra possibile logica di giudizio.

Tutti ricordiamo, penso, l’intervento americano in Iraq all’inizio del millennio, e anche le conseguenze che ne sono scaturite, e le menzogne che hanno cercato di dare motivazioni adeguate a quell’iniziativa.

Nell’approssimarsi dell’attacco (era anche allora un 25 febbraio, nel 2003) il Corriere della Sera ospitò un intervento di don Luigi Giussani che trovo ancora utile (basta cambiare i nomi dei protagonisti di allora con quelli di oggi) come criterio di giudizio.

“Così scriveva: “La soluzione non è neppure quella di schierarsi da una parte o dall’altra. Quando la società giunge a certi passaggi decisivi, il vero problema è che il giudizio di lode o di condanna dovrebbe mettere in conto innanzitutto la necessità dell’educazione dei giovani e degli adulti, cioè di tutti gli uomini, perché sono gli uomini normali che hanno la necessità di attivare le proprie capacità di giustizia e di bontà.

Se l’umanità non è educata a una vera stima dell’uomo, e quindi a una giustizia reale, non può sentirsi libera dai disastri che essa stessa si procura, che così si obbliga ad affrontare, facendo diventare scusa per un proprio male operato il fatto di applicare in un modo ritenuto giusto lo stesso errore: quello della guerra.

Il vero dramma dell’umanità attuale non è che gli Stati Uniti vogliano distruggere l’Iraq per trarre vantaggi dalla loro azione, o che Saddam rappresenti una minaccia per l’Occidente, ma il fatto che sia gli uni che l’altro non hanno un’educazione pari alla grandezza e alla profondità della lotta fra gli uomini. E’, appunto, un problema educativo, e l’unico che ne parli è il Papa, perché il tribunale che si richiede per giudicare l’altro – ad esso ha fatto riferimento di recente anche il Presidente Ciampi – esige un’educazione in nome di una unità e di una giustizia vere”.

E’ grave che dopo la fine dell’Unione Sovietica le istituzioni europee non siano riuscite a costruire un rapporto adeguato con la nuova Russia che sappia tener conto anche della storia e dei problemi di quel grande paese. In particolare la gestione burocratica dominante nell’Unione Europea rende ancora più incredibile questo vuoto di iniziativa visto che anche negli anni della guerra fredda si era potuto realizzare una Conferenza per la sicurezza e la cooperazione europea che portò agli accordi di Helsinki 1975 sottoscritti tra gli altri anche da USA e URSS.

Penso che il prevalere di una visione economicistica della relazione tra le nazioni, tipica dell’Europa di Maastricht, abbia impedito di cogliere il cuore della geopolitica, e cioè che le nazioni non vivono solo di economia ma anche, e forse soprattutto, di storia, di miti, di fedi religiose, di immagini sedimentatesi in conseguenza di eventi storici.

Un Occidente sempre meno cosciente della propria storia e identità, come abbiamo scritto altre volte con riferimenti autorevoli, si trova impreparato di fronte a visioni del modo che poggiano su valori e sulla forza di sostenerli.

Ancor prima di diventare papa, il card Woityla poteva scrivere che : ”L’inclinazione a pensare e parlare dell’Europa in dimensioni esclusivamente “occidentali” è una caratteristica degli uomini e degli ambienti che rappresentano proprio questa parte occidentale dell’Europa, e forse non soltanto di essi”.

Mentre ci prepariamo alla giornata di preghiera e digiuno promossa da papa Francesco nella consapevolezza che questa iniziativa non è una fuga dalla realtà ma un più profondo immergersi in essa, possiamo riprendere il richiamo sempre presente nell’insegnamento di San Paolo II: l’Europa si estende dall’Atlantico agli Urali, non per una geografia astratta ma perché è questo lo spazio in cui l’avvenimento cristiano è stato annunciato, ha dato forma alle diverse civiltà, ha formato popoli ai quali ha dato una fede e perfino un nuovo per trasmetterla.

E’ solo dal riconoscimento di questa origine comune , per quanto annebbiata e tradita, che si può sperare in un futuro di pace per l’intero continente.

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